L’opera di Kimiko Yoshida, realizzata a Murano, mira ad una sorta di astrazione nuova: questi specchi di vetro soffiato riflettono bene la luce, ma non riflettono l’immagine. Sono specchi Senza Immagine.

Non è di poco conto che, nella serie di questi specchi Senza Immagine, una quindicina di piccoli formati assumano come sottotitolo: Nel Ricordo dei Rotorelief di Duchamp. Non perdiamo di vista che i Rotorelief sono “giocattoli” disegnati da Marcel Duchamp nel 1935 per essere presentati, in verticale, su dei giradischi e produrre l’illusione del volume.

Tuttavia, lungi dal creare un’illusione ottica, gli specchi Senza Immagine al contrario non mancano di deludere lo sguardo. Lo spettatore può vedere solo la sua immagine carente: il suo riflesso manca nello specchio, solo un’assenza lo rappresenta. Dove scompare l’immagine speculare, lo spettatore contempla solo una mancanza...

Kimiko Yoshida persegue, certamente con mezzi diversi da quelli dell’immagine fotografica, la sua opera di riflessione sulle condizioni di possibilità della rappresentazione e nello specifico della rappresentazione di sè.

Si tratta quindi di un nuovo tipo di “autoritratto” che l'artista qui propone. Ma, alla luce della “disabilità” di questi specchi, si percepisce che l’aspirazione alla monocromia e all’astrazione si è spostata verso una scomparsa più radicale: una perdita perduta, una mancanza nell’immagine di cui si costituisce esattamente il desiderio di vedere. E questo è ciò che l’opera, che guarda più che mai verso lo svenimento della figura, vuole dare da vedere: la carenza della rappresentazione, lo sbiadire del soggetto, lo fading dell’essere...

Senza Immagine scompleta la rappresentazione: l’autoritratto fallisce nella faglia speculare, la figura vacilla nel difetto immaginario. La rappresentazione di sé manca il suo oggetto nel fallimento del riflesso nello specchio - e questo fallimento non figura nulla, se non la negatività che buca il soggetto che parla come il soggetto che guarda: buco, sia simbolico (il linguaggio, la rappresentazione) che immaginario (l’immagine, il corpo), che noi chiamiamo, con Jacques Lacan, una “mancanza nell’essere”.

Jean-Michel Ribettes