A partire dal 2001 i miei autoritratti monocromi — realizzati senza l’aiuto di Photoshop, rispettando un rigido protocollo visivo — sono diventati il mio marchio di fabbrica. Essi sono allo stesso tempo “astratti” e fuori dal tempo, lontani cioè da una dimensione aneddotica e contingente. La particolare fissità del soggetto rappresentato, la sua indifferenza, come se l’immagine riuscisse a contenere in sé stessa la sua assenza di limiti, si ricollega ad un antico processo di temporalità infinita su una superficie ristretta che affonda le sue radici nella scuola senese e nel primitivismo fiammingo. Questa dimensione infinita è correlata ad un rigido protocollo e ad una dinamica di astrazione che situano questi autoritratti ben al di là di una semplice problematica della rappresentazione di sé.

A Kyoto collaboro regolarmente con prestigiosi artigiani, fornitori della Corte imperiale, per creare una serie di pezzi unici che risuonino con la tradizione e al tempo stesso la trasformino. L’obbiettivo dell’arte è quello di ripensare il mestiere dell’artigiano per interrogarlo, interpretarlo, allargarlo.

I – KAKEJIKU GIGANTI

Giant Kakejiku©Oliver.Frantz_Courtesy.Kyotographie

Ho realizzato, nell’ambito del festival Kyotogaphie, una serie di 4 kakejiku giganti a partire dai miei autoritratti fotografici (stampe a pigmento a lunga conservazione su tele opache, vernici anti UV).

Kakéjiku: con questo termine ci si riferisce in Giappone ad una pittura tradizionale montata su rotolo, che viene srotolato al fine di essere appeso al muro, nei templi buddisti o nelle tokonoma adibite alla cerimonia del tè. Questi rotoli — realizzati con una tecnica particolarmente raffinata e impegnativa, risalente al VI secolo — sono realizzati da artigiani reputati che in alcuni casi sono elevati al rango di tesoro nazionale vivente.

A Kyoto ho chiesto a Makoto Nogushi di dipingere i quattro kakejiku di seta.

Il suo atelier, il Noguchi Residence, è un “bene culturale tangibile”, che dal 1733 dipinge la seta dei più raffinati kimono. Nogushi-san, un Kyoto-yuzen reputato, pratica la tecnica tradizionale di pittura su seta alla colla di riso (komenori).

Ogni kakejiku è formato da un rotolo di seta che costituisce prestigiosi kimono. Il taglio della seta di un kimono è di 13 m di lunghezza e 38 cm di larghezza. Ogni rotolo di stoffa è serigrafato con un motivo che ho scelto tono su tono; ogni motivo necessita di sette passaggi di colore.

Sono le dimensioni del rotolo di seta, una volta assemblate, a determinare le dimensioni finali del kakejiku gigante: 350 cm di altezza e 175 cm di larghezza.

In seguito Naohachi Usami, presidente de l’associazione dei restauratori di kakejiku, classificata come tesoro nazionale nona generazione di artigiani specializzati, ha montato i quattro kakejiku giganti. Il suo atelier Usami Shokado realizza, a partire dal 1781, i kakejiku più preziosi. Mi ricordo che ha utilizzato una colla (furunori) vecchia di cinquant’anni, cioè creata da suo padre. I quattro kakejiku sono stati presentati a Kyotographie da Nogushi-san, in una casa tradizionale (machiya): essendo “giganti” — ben più alti, cioè, del soffitto della stanza —, i rulli sono stati esposti per metà arrotolati.

II - IL RACCONTO DI GENJI: LA DOPPIA IMMAGINE

The Tale of Genji, Japanese - detail

A partire dalle stampe cromogeniche dei miei autoritratti fotografici su tela, ho creato dei kakéjiku con l’aiuto di un artigiano di Kyoto che applica — seguendo la tecnica tradizionale, alla lacca — dei delicati disegni che illustrano Il Racconto di Genji.

Questo racconto — che sia Borges che Yourcenar ritengono non sia mai stato in seguito eguagliato — è stato scritto all’inizio del XI secolo dalla poetessa e scrittrice Lady Murasaki Shikibu. Considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese, questo romanzo fiume di oltre 2000 pagine narra, con un uno straordinario vigore poetico, le vicende amorose e politiche del principe Genji lo Splendente.

Per la sua narrazione virtuosa, per l’importanza accordata alla soggettività e alle pulsioni, ai desideri e ai rimpianti; per il quo essere intriso di atmosfere raffinate e degli splendori della Corte imperiale — arricchiti dagli accordi di una cetra o dal profumo di un ciliegio in fiore —, Il Racconto di Genji è la perfetta rappresentazione della straziante caducità delle cose del mondo e della fondamentale vanità di ogni impresa umana.

Seguendo un’antica tecnica giapponese di lacca mista a polvere d’oro o d’argento, denominata urushi-e, le immagini del Genji sono applicate direttamente sulle mie foto, che sono delle stampe a pigmento su tela.

Urushi-e : letteralmente “immagine laccata”. Il disegno alla polvere d’oro realizzato con questa tecnica imita il ricamo a filo d’oro; l’immagine che ne deriva è talmente leggera che la riproduzione fotografica dell’opera difficilmente è in grado di dar conto della raffinatezza di questa tecnica.

In definitiva, l’opera ci permette di vedere — come per un effetto di trasparenza — un anticha immagine del Genji sovrapporsi ad una fotografia contemporanea: un’immagine doppia.

L’immagine doppia apre la strada ad un prolungamento della rappresentazione al di fuori di sé. La fotografia, che si apre in questo modo oltre i limiti della fotografia stessa, lascia intravedere un’alterità che oltrepassa l’oggetto stesso della rappresentazione.

 

The Tale of Genji, Phoenix - detail

Homo Faber in Città,
Palazzo Amalteo,
La Biennale di Venezia 2022