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HOMO FABER 2022

 

 

Kimiko Yoshida ci accoglie nella una splendida casa, nonché spazio espositivo, di Venezia. Vi racconto qui l’incontro con l’artista giapponese. Una delle più note e importanti della scena dell’arte contemporanea internazionale.
Kimiko Yoshida, considerata tra le più note e importanti artiste contemporanee giapponesi, e il marito Jean-Michel Ribettes, psicanalista e critico d’arte, si dividono tra Parigi, Tokyo e Venezia.
Proprio a Venezia li abbiamo incontrati nella questa molto speciale casa in campo Amalteo vicino ai Frari. Infatti il palazzo non è solo abitazione, ma allo stesso tempo spazio espositivo con tutti gli accorgimenti del caso.
Le alte pareti delle lunghe gallerie in total white, in cui spiccano coloratissimi una decina di magnifici antichi lampadari di Murano, che convivono con la illuminazione diffusa all’avanguardia della tecnica museografica, rivelano che una volta quello spazio era un fondaco, un grande lungo magazzino con due entrate a terra e due sul rio, le porte d’acqua, per il carico e scarico delle merci.
Così ora dal salotto Venezia entra in casa in gondola. Arrivando a piedi in campo Amalteo sparisce d’un colpo la vivacità di San Polo e si respira un’aria senza tempo, sospesa, perché è a fondo chiuso, fuori dal traffico, isolato quasi fosse una corte privata.
Inizia così la chiacchierata con Kimiko Yoshida

Kimiko Yoshida: La prima volta che arrivai a Venezia (coincideva anche con la prima volta che vedevo l’Europa) Jean-Michel mi fece visitare decine di chiese, e nonostante lui si desse molto da fare per spiegarmi le centinaia di opere d’arte, io provai un fastidio profondo. Mi disturbava talmente quello spazio così saturo di cose accumulate nei secoli che piangendo scappai lontano. Il fatto è che tutte quelle immagini non mi dicevano assolutamente nulla, e non riuscivo a cogliere la differenza tra un pittore e l’altro, tra un’epoca e l’altra.
Comprai una Bibbia illustrata per bambini e la studiai a fondo. Da allora ho cominciato a capire l’iconologia cristiana, le tante storie raffigurate nei quadri. A quel punto sono cadute le scaglie che ricoprivano i miei occhi e ho visto e finalmente capito: l’essenza dell’arte della Chiesa barocca sta nella incredibile, direi violenta, saturazione dello spazio, mentre, al contrario, in Giappone l’arte si fonda sul vuoto. Grazie all’incontro con la grande arte barocca veneziana ho riscoperto, per antitesi, il cuore della mia cultura originaria.

Il mezzo artistico con il quale lavora Kimiko Yoshida è la fotografia e il soggetto è immancabilmente sempre lo stesso: lei stessa, il suo volto, il suo corpo. Le sue foto sono poi ibridate con diverse altre tecniche come la serigrafia o il vetro soffiato.
Il suo linguaggio si fonda su costanti fondamentali: lo stesso soggetto, la stessa inquadratura frontale, la stessa illuminazione indiretta, lo stesso formato quadrato, e il monocromo che assorbe soggetto e sfondo. Non c’è alcun ritocco digitale, nessun Photoshop, ma tutto ancora artigianale in presa visione diretta.

Kimiko Yoshida: Il fondamento concettuale di questi miei lavori nella loro ripetitività e seguendo una logica astratta è superare il problema della rappresentazione. Non ricerco l’affermazione di un’identità, di un’origine e di un’appartenenza, ma incrociando tutti i possibili significati tendo all’universale. La mia tendenza all’astrazione nasce dalla volontà di non credere che identità, origine, appartenenza sia il destino, e di non sottomettermi agli stereotipi di genere, di lottare contro lo stato delle cose.

Nella serie Pittura. Autoritratto il vestiario e gli oggetti di moda non sono usati secondo la loro propria funzione, ma sono stravolti: i vestiti, le gonne, i pantaloni, le scarpe, le borse diventano strabilianti acconciature, ricchissimi ornamenti, fantastici costumi storici.

Kimiko Yoshida: I miei autoritratti sono allo stesso tempo figurativi e astratti. Attraverso il monocromo raggiungo il limite tra la figurazione e la sparizione. In fondo è un lavoro sull’assenza, come tutta la storia della pittura e della fotografia, che si basano sulla rappresentazione, cioè sull’assenza di ciò che non è presente. E’ un ossimoro, l’unione di due opposti. La tensione tra la figurazione che scompare nel monocromo e l’astrazione che ha a che fare con la presenza reale di ciò che non è rappresentabile. Astrazione è anche liberarsi dall’aneddotico, dalla narrazione, ed evocare un ricordo, ben lontano dall’imitazione.

Come un camaleonte il volto di Kimiko s’introduce in opere celeberrime dei grandi maestri dell’astrattismo, Mondrian, Malevic, Albers, compiendo l’unione paradossale degli inconciliabili.
La partecipazione di Kimiko Yoshida a Homo Faber 2022 a Venezia rientra nell’omaggio speciale al Giappone.
Un altro gruppo di kakejiku mostra, come per trasparenza, una “doppia immagine”: un autoritratto fotografico dell’artista su tela e un urushi-e (immagine laccata a polvere d’oro) di un’antica illustrazione de Il Racconto di Genji, classico giapponese romanzo scritto nell’XI secolo da Murasaki-Shikibu.

Kimiko Yoshida: Io cerco l’eccellenza della forma e amo lavorare con i grandissimi artigiani. Mi piace chiedere loro operazioni ritenute fuori dall’ordinario, sfidarli a superare limiti ritenuti impossibili, come successe con il celebre Pino Signoretto maestro vetraio a Murano, il migliore di Venezia. Io so bene che questi veri geni delle arti decorative si eccitano davanti alle difficoltà che stanno nei miei progetti.

Una tra le più potenti serie di lavori di Kimiko è quella dove il suo volto, sempre il fulcro di tutto, si fonde con copricapi e acconciature che vengono conservati nei musei etnografici e archeologici più importanti.
Anche in questo caso tutto si basa sulla creazione di un seduttivo ibrido tra arte contemporanea e arti decorative.

Silvia Camerini Maj,
MyWhere, April 26, 2022.